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Era gennaio quando nella posta di Limina è giunta una silloge che ho custodito con cura, con il proposito di sfogliarla, allettata da allegati inconsueti, una copertina bipartita su cui è rappresentato il contrasto Vita-Morte, anticipato dallo stesso titolo, con il gioco ambiguo delle parentesi che attivano più livelli di comprensione, e l’immagine del XXI tarocco, quello che illustra il Mondo, “mai fisso, mai immoto”, come è definito in prefazione. A distanza di mesi la riprendo, spinta dalla curiosità di cogliere il connubio parola-immagine che ho intuito ci fosse. In effetti, si tratta, nell’intenzione dell’autrice, Valeria Bianchi Mian, psicoterapeuta junghiana, di Poesie per arcani maggiori, come recita il sottotitolo. La silloge raccoglie poesie giovanili e quelle scritte tra il 2014 e il 2019, accostate alle figure degli arcani illustrati dalla stessa Bianchi Mian. “È una Totentanz che punta alla rinascita, è un cerchio che si fa spirale attraverso ventidue disegni” mentre il fil rouge pare sia la natura viva in un processo in divenire continuo, ciclico, che fa ritorno a se stesso.

La silloge si presenta come un viaggio esoterico, ricco di riferimenti al mondo dei tarocchi e alla loro simbologia. Ogni testo, infatti, è introdotto dalla figura di uno degli arcani maggiori presentati dal numero 0 al 21. Il testo di apertura appare una sorta di presentazione dell’autrice, il suo procedere per tentativi come se fosse un lupo di Chernobyl o o la gazza che si spinge dal bosco alla periferia. Si vorrebbe però una sopravvivenza dal ticchettio nucleare, un rifugio per scongiurare la follia diffusa. Non a caso la poesia è introdotta dalla figura del Matto che rappresenta lo spirito libero e geniale, l’energia originaria del caos, l’imprevedibilità e allo stesso tempo l’innocenza e la follia. È il viandante che avanza verso l’ignoto senza paura.

Il folle perso nella folla

è massa

tumore della modernità.

La figura del Bagatto rappresenta invece l’abilità e allo stesso tempo l’inganno. Non a caso la poesia di Bianchi Mian attacca, con piglio satirico, tutto ciò che nella realtà quotidiana tende ad attuare su di noi la manipolazione inducendoci al falso bisogno: segue un elenco piuttosto nutrito di falsi bisogni, dall’alimentazione alla cosmesi, all’igiene, alla tecnologia. Segue l’invito a diffidare dell’oltreuomo perfetto geneticamente modificato e della perfezione perché anch’essa è imprevedibile. L’arcano successivo rappresenta la Papessa che indica la conoscenza, la fede, il dualismo di universo materiale e spirituale. Riemergono a questo punto ricordi d’infanzia, vissuti personali scanditi da espressioni linguistiche o fissati da vecchie fotografie, gli stessi arcani diventano nel corso della narrazione immagini archetipiche che sollecitano evocazioni fiabesche, meravigliose, tragiche. Di qui la visione di madre-matrigna, in contrapposizione alla maternità voluta e realizzata, esiste anche un altro aspetto della maternità, quello collegato alla non accettazione del proprio corpo gravido o alla rottura del binomio madre-figlio. L’arcano dell’Imperatrice rappresenta la forza creativa della natura che dona la vita e la protegge e introduce due testi sul tema del miracolo della maternità e sulla mistica danza della comunione umana tra madre e figlio. L’Imperatore invece evoca Aleppo, sapone delicato, verde e oleoso, ma anche luogo esotico sulla via delle mille e una notte, dall’aria speziata e dalle strade lastricate del sangue dei bambini del colore della melagrana che, per associazione di idee, ricorda anche il mito di Persefone, vincolata per sempre al regno dell’Oltretomba per averne assaggiato i chicchi. Nel testo successivo è menzionato Eros e la sua passione smodata per la libertà. Il Papa invece è l’arcano n.5, simboleggia il legame tra l’uomo e Dio e rappresenta la lealtà, la fiducia, la sicurezza, la serenità.

Sarebbe davvero una festa

il volo

di una testa libera dal giogo

dei pensieri.

L’arcano degli Amanti, invece, insegna ad abbandonarsi con coraggio all’amore se si vuole raggiungere la possibilità dell’Unione, tratta l’incontro di Tèseo e Arianna, l’eroe stupro al senso dell’orientamento e rievoca l’abbandono della donna su un’isola. Segue il Carro, arcano che insegna a perseguire gli obiettivi con determinazione e piena fiducia in se stessi e che, nella visione dell’autrice è paragonato al matrimonio, tomba dell’a[mor(t)e]. La disillusione, poi, è quella che ispira i versi Amore è carrozzone / senza fissa dimora. L’arcano della Giustizia invece invita a riflettere sulle conseguenze di ogni azione prima di agire e a valutare razionalmente, in modo distaccato e imparziale. Bianchi Mian a questo punto rievoca il mito di Aracne con la quale condivide il segreto della tessitura.

Ho il senso dei ragni

per la tela.

 

Reminiscenze mitologiche e fiabesche, filastrocche, citazioni colte affiorano di tanto in tanto per l’intera silloge. Giunge poi l’Eremita a introdurre il tema dell’invecchiamento e della decadenza. Questo Arcano rappresenta il Destino, che opera sulla nostra vita e che è al di là del nostro controllo. Poi abbiamo la Ruota. Poiché la natura della ruota è quella di girare, essa simboleggia il perpetuo alternarsi dei cicli di vita. L’invito è quello di accettare il perenne cambiamento. La Forza introduce ricordi, incomprensioni e lotte adolescenziali. L’Appeso, con i suoi testi, quello dedicato all’incontro tra vecchi e bambini e il Memento, invita invece ad osservare il mondo da un punto di vista diverso, meno convenzionale, per raggiungere il centro delle cose nel punto in cui un uomo incontra il suo doppio. La Senza Nome è la tredicesima carta degli arcani maggiori, così definita perchè nei tarocchi marsigliesi è l’unica carta ad essere contrassegnata solamente dal numero, forse per scongiurarne l’effetto. Il significato originale di questa carta è un memento mori, un invito a riflettere sulla fragilità della vita e a occuparsi delle cose spirituali. Nell’iconografia dei mazzi tradizionali è rappresentata come uno scheletro armato di falce o di arco; nella visione di Bianchi Mian lo scheletro appare vestito e bendato e, con grosse forbici falcia teste e membra umane tra germogli di piante. I testi che seguono, in effetti, fanno riferimento al Tempo, con la maiuscola perché entità personificata e all’odore di morte che si associa all’idea di vecchio. L’arcano va inteso però come rinnovamento, trasformazione necessaria per garantire l’evoluzione delle cose. Anche la Temperanza rappresenta la riconciliazione e la rigenerazione, i due testi che introduce invitano, infatti, alla calma, alla pacatezza e alla razionalità. L’arcano del Diavolo invece indica ciò che ci tiene prigionieri e che ci priva della libertà, le tentazioni, “le luci colorate lungo il viale”, “le voci che seducono al banale”. La carta successiva, che rappresenta la Torre, simboleggia la superbia e la presunzione, che vengono punite con il castigo. L’arcano ispira questa volta testi che fanno riferimento all’Orlando della Woolf, alla trasformazione di genere, perfino al romanzo La Quercia, scritto dal protagonista del romanzo. Seguono i testi introdotti dalla Stella, le stelle dell’arcano probabilmente rappresentano l’Orsa Maggiore oppure le Pleiadi, dalla Luna, dal Sole, dal Giudizio, dal Mondo. Infine, con un andamento ciclico che rappresenta il cerchio infinito vita-amore-morte, si ritorna al Matto, questa volta compiuto e poi al rimescolamento delle carte come per intraprendere un nuovo giro. Molti testi sembrano autoanalisi, esplorazioni della psiche, ricordi e dialoghi tratti dal proprio e altrui vissuto personale, riflessioni che sono emerse da gruppi di formazione e laboratori espressivi. Anche il colore ha valore emblematico e onirico, vi ricorre molto frequentemente in tutte le sue gamme: verde, bianco, rosso, oro, nero, giallo. La poesia alchemica e il simbolismo cabalistico qui largamente impiegati si avvalgono di messaggi misteriosi e allusivi, fatti di miti e allegorie e permettono di cogliere, con intensa sperimentazione emotiva, la corrispondenza che esiste tra il macrocosmo (universo) ed il microcosmo (uomo), perché in definitiva, forse l’esistenza dell’uomo è un sogno illusorio, da vivere pienamente solo entrando in sintonia con l’anima sensibile e invisibile della natura.

©Deborah Mega

*

Il Bagatto

  1. Aborro (andante con grido)

Aborro

l’induzione al bisogno

le multinazionali del disagio.

Aborro

il marketing del nulla

nel Nulla che avanza

e avanza

e t’induce al bisogno

del nuovo modello di ciocco-merendina

del panno impermeabile pulisci macchie invisibili

del dopo dopo-balsamo per i peli delle ciglia

dell’esaltatore di sapidità per gli zombie

che camminano nella ciotola del gatto

dei sogni da far nascere con l’utero in affitto

dell’attico ignifugo su Marte

dello yogurt rossoblu dell’Uomo Ragno

del leviga occhiaie gel multifunctional iperattivo

del dentifricio all’uranio impoverito

del divaricatore per allargare le dita dei piedi

del bambolo gonfiabile che ripete

non sei sola

non sei sola

(non siamo soli).

Aborro

le luci al neon dei centri commerciali

la puzza emanata dal girarrosto del pollo a terra

la terra bruciata, dickensianamente desolata

ed io

in maschera antigas di pizzo e latex

induco me stessa al bisogno

d’indurmi il più possibile al bisogno

del non aver bisogni.

Induco me stessa all’umano

vicino di casa d’umano

e suono

per un po’ di zucchero.

*

Gli Amanti

  1. Teseo e Arianna (storie d’umori)

Teseo.

Dicevi angelo e pesce

moltiplicazione

di cose e di cosce

incoscienza.

Dicevi ostrica schiusa

il buon gusto

in umido al limone

nell’androne

appesi in attesa

del vicino di casa

che, se avesse aperto

saresti morto.

Arianna.

Quel filo di rubino esangue

per uccidere il mostro enorme

è adagiato sul fondale

nella borsa alla rinfusa

tra vecchie cianfrusaglie.

Una come te

uscita indenne dal labirinto

credevo conoscesse il centro

di tutte le città

e invece

hai perso la testa per l’eroe

stupro al senso dell’orientamento

hai rotto le uova a frittata:

è zero rinascita.

Che posso farci io, se Teseo

ti ha lasciata riversa sullo scoglio

in balia del sequel di un mito?

Non soffri di monoteismi

(per fortuna)

ed è per questo che Dioniso

t’ama e non t’ama

margherita strappata dal petto

pieno latte della nostra terra

così come Zeus sputò

quel Libero oltre il muscolo

della propria gamba.

Allo specchio siamo adesso

nuova Luna, una sola Arianna

luce e ombra assunte

al cielo dell’impossibile

senza dote alcuna.

*

  1. Agave

Ero convinta di somigliare

alla cruda agave.

Nuda, dura e appuntita.

Credevo nelle mie necessità:

poca acqua

solitudine

la vista del mare.

Sapevo di andare a morire

dopo il primo fiore.

Un figlio, e via.

Scopro con particolare orrore

e assurdo piacere

che al sale

si accompagna l’acqua

che la maturità

non è un esame.

È senso della terra.

Peccato le rughe

ma, se le radici sono tante

io sono l’agave

non monocarpica.

Testi tratti da Valeria Bianchi Mian, “Vit[amor]te / Poesie per arcani maggiori”, Miraggi Edizioni, 2019.