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Questa intervista appartiene ad un’iniziativa del blog Limina mundi che intende dedicare la propria attenzione alle pubblicazioni letterarie (romanzi, racconti, sillogi, saggi ecc.) recenti, siano esse state oggetto o meno di segnalazione alla redazione stessa. Ciò con l’intento di favorire la conoscenza dell’offerta del mercato letterario attuale e degli autori delle pubblicazioni.

La redazione ringrazia Stefano Guglielmin, per aver accettato di rispondere ad alcune domande sulla sua opera: La lingua visitata dalla neve. Scrivere poesia oggi, Aracne Editrice, Canterano (RM) 2019, pp. 456.

  1. Ci parli della tua pubblicazione?

“La lingua visitata dalla neve” è un saggio sulla praticabilità dei linguaggi poetici nel contemporaneo a partire dalla crisi del simbolismo. È organizzato in due parti; la prima fa il punto su alcune questioni fondanti: la deriva del soggetto, le insidie dell’inconscio e dell’ideologia nell’atto creativo, l’importanza della tecnica e dell’uso di alcune figure retoriche, in particolare il simbolo e l’allegoria, centrali nel dibattito italiano almeno a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso. La seconda parte entra nel vivo della scrittura, analizzando le condizioni di praticabilità degli stili individuati nella prima parte. La prefazione è del prof. Daniele Maria Pegorari, associato di Letteratura italiana moderna e contemporanea, e di Sociologia della letteratura, presso l’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”.

  1. Pensi che sia necessaria o utile nel panorama letterario attuale e perché?

Se non lo fosse, non avrei impegnato tre anni della mia vita a mettere ordine sulla babele della poesia italiana contemporanea, il cui sottobosco è un guazzabuglio di inconsapevolezze e fraintendimenti rispetto alle problematiche specifiche della parola poetica nella tarda modernità.

  1. Quando e in che modo è scoccata la scintilla che ti ha spinto a impegnarti in questa opera? In altri termini qual è la sua genesi?

In principio pensavo ad un manuale rivolto ai neofiti, con apparati didattici e glossario. Scrivendolo, mi sono invece accorto che stavo dialogando con la critica contemporanea, la quale chiede un rigore differente dall’approccio divulgativo. È rimasta tuttavia ferma la mia intenzione di rivolgermi a tutti coloro che sono interessati a costruirsi una propria lingua e a faticare per raggiungere questo obiettivo, anche studiando un saggio impegnativo come il mio.

  1. La copertina. Chi, come, quando e perché?

Il titolo riprende un verso di Eugenio De Signoribus. L’ho scelto perché davvero la lingua poetica oggi dovrebbe raffreddare il calore bianco del simbolismo ottocentesco (il perché lo si legge nel libro). Inoltre la neve, per me che cammino spesso in montagna, è elemento familiare. Il disegno di copertina lo ha fatto Elia Inderle, un mio ex studente del liceo artistico nonché artista visivo, con il quale ho stretto una buona amicizia. Lui mi ha proposto alcune immagini; la decisione finale l’ha presa l’editore. Così come l’editore ha deciso la forma stessa della copertina, secondo i propri standard.

  1. Come hai trovato un editore?

Il libro esce nella collana “Paideia. Pratiche didattiche e percorsi interculturali” gestita dalla Società filosofica italiana, della quale sono socio. Nel comitato scientifico della collana ci sono anche Giangiorgio Pasqualotto e Adone Brandalise, miei docenti nella facoltà di filosofia negli anni Ottanta a Padova. Attraverso il prof. Michele Lucivero, direttore della collana assieme a Michele Di Cintio, ho raggiunto Aracne, la quale si è dimostrata al tempo stesso collaborativa e scrupolosa.

  1. A quale pubblico pensi sia rivolta la pubblicazione?

Ai poeti, navigati e dilettanti, ma anche alla critica letteraria e ai docenti di scuola superiore di secondo grado.

  1. In che modo stai promuovendo il tuo libro?

Lo sto spedendo agli interlocutori diretti, i cui libri mi sono stati di riferimento e sto organizzando alcune presentazioni nel nord Italia. Inoltre uso i social come viatico, per raggiungere i poeti “amici”. A questo proposito, approfitto dell’occasione che mi date per dire a molti di loro che, se non sono presenti nel libro, è perché non ho voluto mappare il panorama italiano, darne un resoconto dettagliato e stratificato. Ho invece proceduto per stili emblematici, selezionando gli autori più influenti, già canonici (o quasi). Una mappatura è invece presente nei miei due volumi “Blanc de ta nuque. Uno sguardo (dalla rete) sulla poesia italiana contemporanea” (Dot.com Press, Milano 2011, 2016).

  1. Qual è il passo della tua pubblicazione che ritieni più riuscito o a cui sei più legato e perché? (N.B. riportarlo virgolettato nel testo della risposta, anche se lungo, è necessario alla comprensione della stessa)

Riporto (senza note per comodità di lettura) l’incipit dell’introduzione alla parte II capitolo primo; non è necessariamente il passo migliore, ma mi sembra un buon punto di partenza per comprendere l’impostazione del ragionamento.

“Come distinguere la buona dalla cattiva poesia non è invero la domanda corretta perché presuppone una netta linea discriminante fra i due momenti, impraticabile in una disciplina umanistica. Tuttavia, qualcosa si può dire intorno a quella linea, per quanto essa si dia in una mobilità non catalogabile, ma che ogni poetica rifonda, se risponde convincentemente dei propri presupposti.

Cominciamo con verificarlo nell’ambito della lirica simbolista, introducendo ancora un aspetto, di tipo storiografico perché, estinta la metafisica e i suoi valori imperituri, anche la virtù e il vizio del poetico – lirico o non-lirico è lo stesso – soggiacciono necessariamente a diversi puntelli della realtà fenomenica, con la loro portata relativistica: dall’estetica, all’etica, dal gusto, al mercato. Per capirci: potremmo oggi considerare contemporanei questi versi foscoliani, tratti dal primo inno delle Grazie, a suo tempo considerati perfetti?

Nella convalle fra gli aerei poggi
di Bellosguardo, ov’io cinta d’un fonte
limpido fra le quete ombre di mille
giovinetti cipressi alle tre Dive
l’ara innalzo, e un fatidico laureto
in cui men verde serpeggia la vite
la protegge di tempio, al vago rito
vieni, o Canova, e agl’inni.

Credo che chiunque risponderebbe negativamente; ma che cos’hanno di inattuale? Non il metro, l’abbiamo visto, e il tema qualcuno lo pratica ancora, e non per forza in via residuale; semmai, a farli sembrare obsoleti, sono il lessico in disuso (l’arcaismo «quete», il maschile di «fonte»), le elisioni («ov’io», «d’un», «agl’inni») l’apocope («men»); non rare anche oggi nella poesia lirica, invece, l’anastrofe («alle tre Dive / l’ara innalzo»), l’epifrasi («al vago rito / vieni, o Canova, e agl’inni»), e l’ipotassi virtuosistica. Anche gli arcaismi, tuttavia, e talvolta le elisioni e i troncamenti, sono impiegati nella poesia contemporanea in funzione espressionistica, per distorcere il lessico dominante, per ferirne la solennità e, con essa, la società (anche letteraria) che lo esprime: penso, per fare un solo esempio, a Tommaso Ottonieri che, in Regina della notte 89, mescola «ruine» e «upupe» della grande tradizione lirica con «residui bellico-industriali, circuiti stampati / divelti, microchips» e altri «materiali di scarto», in un pastiche dal sicuro effetto straniante e noir.

Non sono dunque le scelte retoriche, o lo sono soltanto marginalmente, a mettere fuori gioco la praticabilità di una scrittura; tantomeno lo fa il tema o il metro. La risposta negativa sta altrove: Le Grazie non sono paradigmatiche oggi perché possiedono un sentimentalismo eroico ed elitario (in questo, Romanticismo e Neoclassicismo si somigliano) che ci dà la cifra esatta del tempo e della cultura di provenienza, la quale nelle Grazie ci dice che il poeta è un cantore del bello armonioso, quest’ultimo espresso da una natura aerea, limpida, quieta, eden o tempio arboreo dove cantare gli inni agli emblemi cosmici della bellezza, le Grazie appunto, assieme a pochi altri eletti (in questo caso il Canova), capaci di intendere e di vivere con emozione l’uguaglianza tra bellezza e salvezza, fortino che ci salva dalla barbarie della Storia.

Consiste in questo la prima impraticabilità: nell’idea che il poeta non sia un uomo comune – pubblico, popolo, folla o semplice mortale – ma genio, che sa parlare con la natura e il dio. L’identità speciale dell’Auctor lo costringe a un linguaggio aulico (seconda, parziale, impraticabilità), ricco della luce che solo la specializzazione retorica e un mondo ideale possono dare (o arcano, come nei romantici), in contrasto con la nascente civiltà industriale, abbruttita dalle ciminiere, dai villaggi operai e dall’avvento della borghesia, operosa ma ignorante.

Le Grazie non si possono più scrivere non solamente per la loro architettura, levigata come la bellezza che Foscolo neoclassico va cercando, ma perché questa è lo specchio di un’aristocrazia dello spirito ostile alle democrazie compiute, dove la pluralità degli orizzonti estetici problematizza il primato assoluto di uno su tutti gli altri, in favore di un continuo confronto dialettico fra eguali (che talvolta, a onor del vero, diventa chiacchiera e populismo). Con l’avvento della società borghese, ad andare in crisi è insomma l’idea di una bellezza cristallina, metastorica, che riconcilia gli opposti e si riflette nello stile, altrettanto armonioso, del poeta-distinto-dalla-folla, che tiene organicamente insieme il tutto, per garantirsi un’eternità sociale, una memoria collettiva che lo tramandi, di generazione in generazione, come modello, proprio a quella folla in cui non si riconosce”.

  1. Che aspettative hai in riferimento a quest’opera?

Mi piacerebbe che desse un contributo al dibattito sulle poetiche italiane contemporanee, sulla loro praticabilità in un tempo rumoroso e volgare come il nostro.

  1. Una domanda che faresti a te stesso su questo tuo lavoro e che a nessuno è venuto in mente di farti?

In verità, il libro è appena uscito, per cui nessuno praticamente l’ha ancora letto. Ad ogni modo, quando accadrà, spero sia una domanda nata dalla lettura integrale del testo, non da critiche estemporanee. Esso infatti, almeno nelle intenzioni, sviluppa una riflessione organica, di capitolo in capitolo; giudicarlo da alcuni frammenti sarebbe scorretto.

  1. Quali sono i tuoi progetti letterari futuri? Hai già in lavorazione una nuova opera e di che tratta? Puoi anticiparci qualcosa?

Negli ultimi anni, in parallelo con la pratica della poesia e della critica, ho scritto molta prosa. Un racconto uscirà presto, presso Mursia Editore, in un’antologia legata al movimento del “realismo terminale”, per la cura di D.M. Pegorari

Stefano Guglielmin

Stefano Guglielmin è nato nel 1961 a Schio (VI), dove vive e lavora come insegnante di lettere. Laureato in filosofia nel 1986 con una tesi sul “pensiero debole” di G. Vattimo (110 e lode). Membro della Società filosofica Italiana.

Ha pubblicato le sillogi Fascinose estroversioni (Quaderni del Gruppo Fara, 1985, premio “poesia giovane”), Logoshima (Firenze Libri, 1988), come a beato confine (Book Editore, 2003, primo premio “Lorenzo Montano”), La distanza immedicata / The immedicate rift (Le Voci della Luna, 2006, finalista al premio “Montano” Verona, segnalato ai premi “Campagnola” di Padova e al “Gozzano” di Terzo, prov. Alessandria), C’è bufera dentro la madre (L’arcolaio, 2010, 2° class. al “Città di Adelfia”, Bari; 3° class.  al Premio “Anna Osti” di Costa di Rovigo), Le volpi gridano in giardino (CFR Edizioni, 2013, 2° class. all'”A. Osti”), Maybe it’s raining. Selected poemes 1985-2014 (Chelsea Editions, 2014), Ciao cari (La Vita Felice, 2016, segnalato al premio “Gozzano”) e i saggi Scritti nomadi. Spaesamento ed erranza nella letteratura del Novecento (Anterem, 2001), Senza riparo. Poesia e finitezza (La Vita Felice, 2009), Le vie del ritorno. Letteratura, pensiero, caducità (Moretti&Vitali, 2014), Blanc de ta nuque. Uno sguardo (dalla rete) sulla poesia italiana contemporanea voll. 1 e 2 (Le Voci della Luna, 2011, Dot.com Press 2016) e La lingua visitata dalla neve. Scrivere poesia oggi (Aracne editrice, 2019)

È inserito in alcune antologie, fra le quali Il presente della poesia italiana, curata da C. Dentali e S. Salvi (LietoColle, 2006) e Caminos del agua. Antologia de poetas italianos del segundo Novecientos, a cura di E. Reginato (Monte Avila, Venezuela 2008). Suoi saggi e poesie sono usciti su numerose riviste italiane ed estere e su siti web. È stato tradotto in inglese, spagnolo e bulgaro.

Ha pubblicato anche racconti; l’ultimo in L. Liberale (a cura di), Père-Lachaise. Racconti dalle tombe di Parigi, Ratio et Rivelatio, Oradea (Romania), 2014.

Collabora con alcune case editrici specializzate in poesia contemporanea. Gestisce il blog di poesia Blanc de ta nuque.