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Lontananze senza occhi ti chiudono i sensi
Lasciano orme e odori di more striate di mare
Annebbiano realtà di quel vento pari alle radici
Di un’infanzia scavata dentro il fragore privo di colori
Fa trasalire ancora quel ricordo vago
Che graffia le vene sui polsi
Tutta una vita a chiedersi in silenzio
Le ragioni d’imbarazzo [vanno e vengono ]
A piovermi addosso quando un dettaglio
Si flette e contorce con violenza
Il fondale disumano nelle arterie dove si annidano
Schegge quando non tutto sparisce

Maria Allo

C’è mare in questo testo di Maria Allo, mare nelle more, mare nelle radici che si mostrano tra le dune, mare negli anfratti di una terra tormentata da vento e salsedine. C’è il fragore che sa di onde e di tuoni, dove non possono essere i colori, perché la vista  è sovrastata e annichilita dal senso dell’udito, si possono chiudere gli occhi in tanto rumore, rivivere gli istanti, ricostruire le immagini mentali.

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C’è un ricordo in questo testo un ricordo accennato e non rivelato, ma importante e lesivo certo, tale da restituire com-pulsivamente imbarazzo, c’è uno scenario dove la violenza fa la sua parte e il silenzio di una vita è il tacere che tenta la ricostituzione dell’equilibrio a stemperare fragore, contorcimenti, violenza e schegge. E’ evidente la scelta di lemmi di impatto a restituire al lettore un senso di sconvolgimento legato al ricordo.

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S’intravede in questa poesia l’idea del silenzio come segreto. Non viene detto ciò che è stato,  si stende un velo sull’antefatto che ingenera un senso di mistero. La poesia non sempre ha per suo oggetto specifico  un segreto, né spesso vi è intenzionalmente votata, ma essa è sempre di contro una sorta di sfida al lettore, alla sua intelligenza, di cogliere il senso della costruzione verbale. La particolare architettura della scrittura poetica ammanta i versi di un’aura misteriosa, non restituendo un significato immediato, elementare, come quello del linguaggio quotidiano, del parlato, in metafora il testo poetico è uno scrigno, una conchiglia, una rosa, qualcosa che ha un nucleo protetto e serrato da far schiudere di senso, una specie di tesoro da raggiungere penetrando il suo cuore. Se invece nella poesia si compie esplicitamente il riferimento ad una vicenda che appartiene all’esperienza del poeta, ignota al  lettore, l’evento stesso diventa il nucleo/mistero, polpa nel guscio, seme/innesto da cui ramifica il corpo poetico. E’ possibile certo porre in forma poetica il racconto oggettivo dell’episodio critico, dire ho perso mia sorella che non avevo ancora dodici anni oppure non so chi siano i miei genitori, questi messaggi trasferiscono nell’ascoltatore il fatto nudo e crudo, senza commento emozionale, lo raccontano asetticamente, quando non cinicamente, al pari di una notizia di cronaca, col rischio però di ridurre a cronaca la poesia stessa, non diversamente da un articolo di giornale o didascalia, rischiano inoltre di degradare il patos intimo, ch’è tale finché resta racchiuso nell’involucro, al gossip che tanto diffusamente solletica i pruriti social-provinciali. Ciò non vuol dire che non vi siano esempi brillanti di poesia che riesce con procedere cronachistico, con uno speciale tono incolore e asettico nella narrazione del dramma esistenziale,  con scelta di vocaboli appropriati, appuntiti come un chiodo arrugginito, a provocare uno sgomento talmente efficace nel lettore da riprodurre almeno una minima parte dello sgomento che ha provato la “vittima”, il protagonista del dramma, inducendo un senso di estraniamento o angoscia.

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Più di frequente tuttavia la scelta del poeta è nel senso che la narrazione dell’evento in sé non è in grado di esprimere  l’incisività dell’episodio, lo sconvolgimento prodotto, egli quindi preferisce esprimere le conseguenze, l’intima percezione, comunicare il danno morale che l’accaduto o la consapevolezza del fatto critico hanno prodotto, senza mai sufficientemente riuscire nell’intento; ciò giustifica d’altro canto i molteplici tentativi di far transitare dalla propria anima al mondo l’impressione, cioè il marchio dell’evento nell’anima. Mondo che viene perciò chiamato ad essere non spettatore passivo o indifferente, ma testimone del trauma insuperabile che segna una vita intera, la quale, anche solo per ciò, non è più una vita qualunque ma si trasfigura e diventa significativa, tale da dover essere raccontata, compartecipata nell’atto poetico che, a sua volta, si connota come catartico e liberatorio.

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Poiché Maria Allo evoca col suo testo dramma e mare, per la suggestione visiva ho chiesto al fotografo  Massimo Grassi di poter accostare alcuni suoi scatti. Massimo Grassi fotografa in b/w un mare spettacolare e gravido di “destino” coste e scorci di paesi costieri,  ritratti e particolari di rara intensità.

Qui la pagina personale di Massimo Grassi su facebook.

Loredana Semantica