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Siamo al settimo appuntamento poetico dedicato al tema del silenzio. Questa è la volta di Loredana Semantica e di una sua poesia.

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by Brad Kunkle

Il silenzio trascorre in lamine d’oro

che sulle labbra posano il cielo

è la tristezza il pozzo lento

del pensiero

sgocciolare dorato furtivo

come frutto d’uva o d’ulivo

pestato con forza nei tini

un colore simile al mosto

pressato da pietra angolare

nel casale di tegole e cotto.

 

Un vecchio attraversa la strada

muove assorto le braccia e la bocca

parla agli angeli di sguardi perduti

con le ali che gli stanno vicino.

 

Nella piazza del tempo le occhiaie

sono cerchi di vetro azzurrino

voci bianche argentine a coprire

l’ascolto

copricapo d’intenti in frammenti

angusti orizzonti a spezzare

un sogno repentino di gloria

la piena chiarezza del sole

nei ronzii soprassalti frinire

d’erba secca e cicale arrossire.

Loredana Semantica

Siamo in presenza di un testo visionario in alcuni momenti, fortemente introspettivo in altri, sapientemente costruito, in cui le scelte stilistiche dell’autrice mirano a comunicare in versi un pensiero, un’elaborazione concettuale, un ragionamento.

È un silenzio dorato e personificato quello descritto, non stratificato e sedimentato ma piuttosto sfaldato in lamine appese e cangianti su cui si riflette la luminosità del cielo e di cui si può percepire il tintinnio metallico. In quest’atmosfera sospesa e rarefatta in cui il luogo è indefinito nè sono fornite indicazioni temporali, la tristezza é la condizione statica del pensiero che ristagna perchè avviene a volte di sentirsi privi di spinta all’azione proprio a causa di un malessere profondo dell’animo. Sembra quasi che il pensiero si consumi goccia a goccia, sia sotto pressione come acini d’uva pestati nei tini o come olive messe sotto la pressa affinchè producano olio. Il peso di pietre, tegole e cotto, elementi fisici e concreti della realtà e della natura, evocano ricordi di tempi lontani e profumi d’antico. Non a caso anche l’immagine successiva del vecchio assorto che sembra parlare da solo, mentre si rivolge a qualcuno che non è possibile vedere o ascoltare, riporta alla mente dolci ricordi di nonni amati e scomparsi.

by Brad Kunkle

by Brad Kunkle

Come poteva mancare poi l’immagine della piazza, vissuta e frequentata da anziani, rappresentati dalle lenti degli occhiali, perchè anche la vista non è più quella di un tempo, e da voci festose e squillanti di bambini che scuotono il silenzio e non si curano del tempo che passa, impediscono l’ascolto e frammentano la conversazione, che sembra inseguire, senza possibilità di successo, ultimi sogni di gloria. Su tutta questa visione domina la luce piena del sole estivo, un paesaggio luminoso e solare, richiamato dai ronzii degli insetti, dal tramestio dell’erba secca, dal frinire di cicale. Emerge a questo punto la descrizione di alcuni elementi della natura che rappresentano al solo citarli, ritmi e colori stagionali.  

E’ possibile cogliere anche il senso della perdita, metafora esistenziale da ravvisare nella ragione ormai svanita del vecchio, che parla da solo di sguardi perduti (forse quelli di una compagna che non c’è più?), nelle occhiaie, testimoni di una giovinezza ormai passata, nella vista limitata, dato che gli orizzonti sono angusti e anche i sogni di gloria sono ormai perduti per sempre. Evidente nella poesia l’uso di metafore (vv.1, 3-4, 15-16, 19) e personificazioni (v.2), frequenti allitterazioni (vv. 3, 5-6), enjambement (vv. 3-4, 17-18), rime interne, fitte assonanze e consonanze, accompagnate da un magistrale intreccio fonico-semantico.  

Si tratta infine di una poesia visiva, che fa delle immagini e del colore i suoi elementi dominanti. Giallo oro di lamina e d’olio, azzurro di cielo e di lenti, viola di mosto, beige di pietra e di cotto, bianco di voci fino alle cicale arrossate dal sole nella chiusa di rima baciata.

Deborah Mega